Osteoporosi e Cedimenti su Base Osteoporotica

L’osteoporosi è una malattia sistemica dell’osso caratterizzata dalla riduzione quantitativa della massa ossea e dall’ alterazione della sua microstruttura (Fig.1 e 2). L’osteoporosi comporta l’aumento della fragilità dell’osso e conseguente incremento del rischio di frattura.

Le fratture su base osteoporotica si verificano anche per traumi di modesta entità e interessano tipicamente segmenti a prevalente composizione ossea spugnosa, come il corpo delle vertebrale, il collo del femore e le ossa del polso. Tra tutte le fratture su base osteoporotica, quelle vertebrali sono le più “precoci” e le più comuni. La tipica frattura vertebrale osteoporotica è la frattura da compressione (Fig. 3) e interessa più frequentemente le vertebre del tratto dorsolombare e dorsale intermedio.


Fig. 1 – Osso normale

Fig. 2 – Osso osteoporotico (si noti la riduzione del numero e dello spessore delle trabecole ossee rispetto all’osso normale in Fig.1)


Quando la frattura si produce spontaneamente, cioè in assenza di traumatismi, viene chiamata cedimento vertebrale.

A differenza delle fratture su base osteoporotica di altre sedi, quelle vertebrali possono non essere riconosciute in fase acuta, sia perchè il dolore può essere transitorio o scambiato con il dolore da fenomeni artrosici, sia per la possibile difficoltà interpretativa dell’esame radiografico. Per tali motivi un paziente anziano, con dolore vertebrale persistente e che non migliora con i comuni farmaci analgesici, ha elevate probabilità di avere una cedimento vertebrale.

La diagnosi e il trattamento di tali fratture hanno importanza rilevante considerato l’alto rischio d’invalidità cronica a lungo termine conseguente alla possibile deformità vertebrale (Fig.4); basti pensare alla relazione tra l’ipercifosi dorsale (“gobba”), caratteristica di soggetti che hanno avuto fratture dorsali, e la riduzione della capacità respiratoria. Inoltre, il progressivo incurvamento in avanti della colonna comporta un sovraccarico funzionale della muscolatura, con conseguente lombalgia e/o dorsalgia cronica; caratteristico anche l’accorciamento del tronco e l’abbassamento della statura.

Tutto questo influisce negativamente sulle attività della vita quotidiana come il vestirsi, il mangiare e il camminare, con importanti sequele quali la malnutrizione, l’insonnia, la perdita d’indipendenza e l’isolamento. L’invalidità del paziente anziano, inoltre, innesca un meccanismo a cascata poichè l’immobilità comporta il peggioramento dell’osteoporosi che a sua volta induce un aumento ulteriore del rischio di frattura non solo vertebrale, e quindi di invalidità. Le fratture vertebrali osteoporotiche rappresentano quindi un importante problema di salute pubblica con rilevanti conseguenze medico-sociali.


Fig. 3 – Vertebra normale (a sinistra). Cuneizzazione vertebrale secondaria a frattura da compressione su base osteoportoica (a destra)



Fig. 4 – Deformità vertebrale conseguente a frattura su base osteoporotica (a destra). Si noti “l’incurvamento in avanti” della colonna vertebrale rispetto alla colonna normale (a sinistra)


Come si manifestano?

Gli elementi clinico-anamnestici che orientano verso la diagnosi di frattura vertebrale su base osteoporotica sono:

  • Dolore vertebrale insorto spontaneamente o dopo uno sforzo ordinario (starnuto, sollevamento di un peso, spostamento di un vaso, etc…)in pazienti anziani o noti per osteoporosi.
  • La riacutizzazione del dolore alla percussione della sospetta vertebra fratturata.

In caso di sospetta frattura, il primo esame da eseguire è la radiografia della colonna vertebrale. Quando la frattura modifica la forma della vertebra essa è si evidenzia con uno “schiacciamento” del corpo vertebrale interessato, di forma variabile a secondo del segmento fratturato, dell’entità/tipologia del trauma (eventuale) e dal grado di osteoporosi. La deformità più frequente è quella a cuneo, secondaria al collasso della parte anteriore del corpo vertebrale (Fig. 5).

Talvolta però la radiografia non consente di riconoscere una frattura acuta; questa evenienza si presenta quando sono evidenti altre cuneizzazioni vertebrali, esiti di vecchie fratture ormai consolidate, o quando la frattura non ha ancora causato il collasso della vertebra che quindi appare radiograficamente ancora di forma normale (evenienza più frequente nel caso di “cedimento” spontaneo”). La RM è l’esame che permette di evidenziare il cedimento e distinguere i cedimenti vertebrali recenti da quelli pregressi (Fig.6).

 

Come si curano?

Il trattamento delle fratture su base osteoporotica può essere di tipo conservativo o chirurgico.

 

Trattamento conservativo

Il trattamento conservativo deve essere sempre la prima scelta. Tale trattamento infatti, quando ben eseguito, permette nella maggior parte dei pazienti un miglioramento significativo della sintomatologia dolorosa entro 1 mese, limita la progressione della deformità vertebrale e permette la guarigione della frattura.

Il trattamento conservativo consiste nell’allettamento e nell’utilizzo del corsetto ortopedico a tre punti (Fig.7). E’ indicato prescrivere il riposo a letto per almeno 15-20 giorni; negli ultimi giorni del periodo di allettamento, quando al paziente sarà stato concesso di alzarsi per le cure personali e i pasti, e nel periodo successivo, sarà indispensabile l’utilizzo di un corsetto ortopedico che andrà indossato, prima di porsi in stazione eretta, fino al terzo mese dalla data della frattura.

Nei casi in cui, nonostante il trattamento conservativo, il dolore vertebrale persiste invalidante e la deformità fratturativa si aggrava, può essere indicata la terapia chirurgica di vertebroplastica o cifoplastica che permettono un significativo miglioramento della sintomatologia dolorosa con una bassa incidenza di complicanze.


Fig. 5 – Frattura vertebrale a cuneo anteriore (freccia)



Fig. 6 – RM della colonna con evidenza di frattura vertebrale recente (freccia)



Fig. 7 – Esempio di corsetto ortopedico a tre punti per frattura (tipo “Jewitt”)


Trattamento chirurgico

Il trattamento chirurgico si basa principalmente su due metodiche mini-invasive che sono la vertebroplastica e la cifoplastica.

Trattasi di due procedure chirurgiche, che prevedono la stabilizzazione della frattura mediante cementazione.

La vertebroplastica prevede l’accesso percutaneo, RX guidato, al corpo vertebrale mediante uno o due cannule attraverso cui si inietta il cemento. Il cemento, iniettato liquido, in pochi minuti consolida e stabilizza la frattura. La procedura si effettua in anestesia locale o generale; quest’ultima è più opportuna quando è indicato cementare più di una vertebra (Fig.8).

La cifoplastica è un’evoluzione della vertebroplastica; prima della cementazione, prevede il tentativo di correggere la deformità della vertebra fratturata mediante sistemi espandibli che si dilatano nel corpo vertebrale correggendo la schiacciamento della vertebra fratturata (Fig.9).

Per l’anestesia valgono le stesse considerazioni espresse per la vertebroplastica.

L’indicazione alla vertebroplastica o alla cifoplastica è dibattuta. A tal proposito abbiamo proposto un algoritmo di trattamento delle fratture vertebrali su base osteoporotica che, mediante la considerazione di due variabili (tempo trascorso dall’evento acuto ed entità della deformazione del corpo vertebrale), permette indicazioni specifiche all’una o all’altra tecnica (1).

I risultati clinici ottenuti con la due metodiche sono significativamente positivi. La risoluzione completa del dolore si ottiene in più del 90% dei Pazienti e nella maggioranza dei casi si realizza immediatamente dopo l’intervento, indifferentemente nelle due metodiche.

 

Quali sono le complicanze della vertebroplastica e della cifoplastica ?

Le complicanze delle due metodiche sono lo stravaso locale di cemento al di fuori del corpo vertebrale (raramente l’embolia polmonare da cemento) e l’aumento del rischio di cedimento delle vertebre adiacenti a quella/e cementata/e.

Lo stravaso di cemento (asintomatico in più del 90% dei casi) ha una frequenza significativamente maggiore nella vertebroplastica (40%) che nella cifoplastica (9%). Questa differenza sarebbe da attribuire al fatto che la vertebroplastica prevede una cementazione a pressione maggiore e con un cemento più liquido che nella cifoplastica in cui, invece, la creazione della cavità ottenuta con il palloncino permette di iniettare il cemento a una pressione più bassa e con una viscosità più alta.

Sebbene in oltre il 90% dei casi lo stravaso sia asintomatico, sono riportati casi di gravi complicanze neurologiche.

Per questa ragione è preferibile indicare la vertebroplatica dopo almeno un mese dalla frattura, tempo necessario alla formazione del callo fibroso che riduce il rischio di stravaso di cemento.

L’incidenza di frattura a breve termine delle vertebre adiacenti a quella/e cementata/e sembra essere maggiore che nella popolazione osteoporotica.


Fig. 8 – Vertebroplastica:
a. Introduzione delle cannule
b. Iniezione del cemento acrilico nel corpo vertebrale



Fig. 9 – Cifoplastica
a. Introduzione di palloncino espandibile
b. Gonfiamento de palloncino
c. Iniezione del cemento acrilico


Bibliografia

(1) Vertebroplasty and kyphoplasty: complementary techniques for the treatment of painful osteoporotic vertebral compression fractures. A prospective non-randomised study on 154 patients. Lovi A., Teli M., Ortolina A., et al. Eur Spine J. 2009 Jun;18 Suppl 1:95-101

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